Devo ammetterlo, mi piace moltissimo andare a vedere e ”sfrucugliare” nelle sentenze, soprattutto quando sono fatte bene e così dettagliata come quella che vi mostrerò in questo articolo. Lo faccio spesso e spesso trovo cose molto interessanti.
Il caso è quello della condanna per diffamazione, libello famoso e offesa a persone investite dei pubblici poteri di Ingrid Casali, aderente a Repubblica Futura e difesa dall’avvocato Antonella Mularoni, nei confronti del segretario di stato Roberto Ciavatta.
Ecco che cosa scrive in sentenza il Commissario della Legge Saldarelli:
”Con atto di denuncia-querela depositato in data 08.07.2021 Roberto Ciavatta chiedeva procedersi penalmente nei confronti di Ingrid Casali per il commento ad un post apparso in data 08/06/2021 sulla pagina Facebook del quotidiano Libertas.sm con un link al’ site www.libertas.sm intitolato “San Marino. Lotta alla violenza domestica durante il Covid, la Pam premia Ciavatta” preceduto da una breve descrizione dell’articolo “Il segretario di Stato per la Sanità ritirerà in un autunno un premio conferitogli dall’Assemblea parlamentare del Mediterraneo”.
Nel predetto commento, riconducibile all’utente Ingrid Casali, si affermava: “Sono esterrefatta, un premio ad un uomo che ha subito in processo proprio per violenza contro una donna (non mi ricordo l’esito), un sds che dopo due mesi di ritardo ha reperito un vaccino non approvato dall’EMA e che ha coperto buona parte della popolazione perché NOI ce lo siamo fatti somministrare presi dalla disperatone, abbiamo fatto da cavie pur di uscire dalla pandemia, e per chi si è ammalato e morto da gennaio in avanti questa celebrazione, questa esaltazione vergognosa è un insulto. Guardate i danni del long-covid di chi non riesce ad uscirne da gennaio. Che gente incommentabile ci governa”. Alla denuncia veniva allegata stampa della pagina Facebook in questione.
Disposta l’iscrizione nominativa della prevenuta per l’ipotesi di cui all’art. 344 c.p., in ragione della qualifica soggettiva del denunciarle, all’epoca Segretario di Stato per la Sanità, in data 16.07.2021 veniva inviata comunicazione giudiziaria, con delega alla Gendarmeria per procedere all’interrogatorio della Casali.
Nelle more, il Commissario della Legge, in parziale accoglimento di istanza avanzata dalla difesa dell’indagata (aff. 11-16), disponeva con decreto del 30.08.2021 l’acquisizione, a cura della Cancelleria, di “copia delle sentenze di cui ai procedimenti richiamati nell’istanza ma solo nel caso in cui in cui si sia trattato di violenza contro le donne”, che dava ESITO NEGATIVO, come risulta dall’attestazione in calce al provvedimento (aff. 17).
In data 22.09.2021, personale della Gendarmeria procedeva all’interrogatorio della prevenuta, nel corso del quale la stessa, alla presenza del difensore di fiducia avv. Antonella Mularoni, ammetteva di essere l’autrice del commento al post in questione, ritenendo di dover precisare quanto segue: “Effettivamente riconosco di aver scritto in modo forse impreciso dei fatti attribuendoli al Segretario Ciavatta. Infatti ero convinta di aver letto, qualche mese prima, degli articoli di giornale (cartacei e digitali) riguardanti dei precedenti procedimenti con condanne per rissa e lesioni, riferiti allo stesso Segretario di Stato. Pertanto riportavo nel post oggetto di interesse quanto da me appreso, purtroppo facendo un riferimento specifico, menzionando “una donna”, producendo copie di articoli apparsi su testate giornalistiche sammarinesi on-line, che “supportano quanto sopra da me riferito riguardanti le condotte del Segretario di Stato”.
Riferiva, inoltre, che, contrariamente a quanto indicato nella denuncia, non poteva definirsi un’esponente del partito politico Repubblica Futura ma soltanto un’aderente. Aggiungeva, infine, che le altre accuse mosse al Ciavatta nello stesso commento erano state dettate da uno “stato emotivo particolarmente forte in quel periodo, inerente alla gestione della campagna vaccinale da parte dello stesso Segretario e dalla circostanza che amici a me cari si erano ammalati di Covid prima della pubblicazione del
In data 28.03.2021, il Commissario della Legge – Giudice Inquirente emetteva nei confronti dell’imputata decreto penale di condanna alla pena di tre mesi di prigionia concedendo il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione, che veniva opposto dalla difesa con atto depositato in data 10.05.2022.
Con provvedimento del 07.06.2022 veniva, dunque, revocato il decreto penale di condanna, comunicato l’avvenuto deposito degli atti del processo e disposta la trasmissione degli atti al Giudice del dibattimento.
Disposta la citazione a giudizio, all’udienza del 25.01.2023, presente l’imputata, il Giudice ammetteva la costituzione di parte civile di Roberto Ciavatta e dava atto dell’intervenuto deposito in cancelleria di documenti prodotti dalla difesa, che venivano acquisiti al fascicolo. L’imputata, per il tramite del suo difensore, manifestava la volontà di non sottoporsi ad esame, riportandosi alle dichiarazioni già rese in atti. Quindi, in assenza di prove testimoniali indotte dall’ufficio o dalle parti, dichiarata chiusa l’istruttoria e l’utilizzabilità degli atti, le parti venivano invitate a precisare le rispettive conclusioni, come raccolte a verbale. All’esito, il Giudice si ritirava in camera di consiglio per l’immediata decisione, al termine della quale pronunciava la sentenza, dando lettura del dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La condotta materiale oggetto dell’imputazione ascritta ad Ingrid Casali è incontroversa, avendo l’imputata riconosciuto, in sede di interrogatorio (aff. 23), di essere l’autrice del commento in questione.
E’, altresì, incontestato che Roberto Ciavatta, all’epoca dei fatti Segretario di Stato per la Sanità e la Sicurezza Sociale, non sia mai stato condannato, né coinvolto, in procedimenti penali per reati di violenza contro le donne, come risulta dalla attestazione della CancelIeria del 01/09/2021 (att. 17) e come, peraltro, emerge dalle stesse sentenze prodotte dalla difesa (aff. 51-126), acquisite agli atti del processo, che riguardano vicende – per alcune delle quali, peraltro, il Ciavatta risulta essere stato integralmente prosciolto – che nulla hanno a che fare con la violenza di genere.
L’imputata, riconoscendo di aver scritto in modo “forse” impreciso dei fatti, si è difesa, da un lato, sostenendo che l’errore sarebbe stato ingenerato dal fatto di aver letto, qualche tempo prima, su testate giornalistiche on-line, del coinvolgimento del Ciavatta in procedimenti penali per rissa e lesioni, come risulta dalle stampe prodotte in sede di interrogatorio (aff. 27-30);
dall’altro, di essersi determinata a scrivere il commento in oggetto, che contiene anche delle critiche all’operato del Segretario nella gestione della pandemia, dallo stato di grave turbamento che la affliggeva dopo che alcuni amici a lei cari si erano in quel periodo ammalati di Covid ed erano poi deceduti (ma successivamente alla pubblicazione del post).
L’errore in cui è incorsa la Casali sarebbe, quindi, scusabile, in quanto la frase incriminata conterrebbe, quantomeno, una parziale verità: “[…] all’interno di una critica generale alla gestione della pandemia aveva certamente fatto un’affermazione che in parte era inesatta o quantomeno non siamo riusciti a dimostrare che fosse completamente esatta, perché non è stato possibile estendere l’esito della ricerca dei precedenti penali o di condanne eventualmente penali del denunciante alla Repubblica italiana, ma per quanto riguarda San Marino certamente c’è un errore nel senso che le condanne che riguardano il denunciante sono riferite soltanto a uomini e quindi non si tratta di persone femminili, quindi di donne che sono state offese da comportamenti lesivi da parte dell’odierno denunciante. Ma certamente ci sono dei precedenti penali per rissa e lesioni che sono conclusi anche con una condanna penale da parte del denunciante. Quindi tutt’al più si sarebbe trattata di una inesattezza che è stata pronunciata dalla signora Casali” (aff. 145).
Lo scritto, poi, ad avviso della difesa, che ha insistito a più riprese sul punto nelle varie memorie depositate ed anche in sede di discussione, rientrerebbe nel raggio di tutela del diritto di manifestazione del pensiero, garantito a livello costituzionale e convenzionale nell’ interpretazione della giurisprudenza sammarinese consolidata da anni: “Ma quello che risulta chiaramente, io ho allegato un decreto di archiviazione del 2014 perché ce l’avevo perché riguardava me, l’interpretazione che è stata data per moltissimi anni da questo Tribunale è stata che nei confronti dei Segretari di Stato si poteva dire di tutto, tant’è vero che nel Decreto di archiviazione del 2014 che in parte riguardava anche me, si dice che i fatti riportati e indicati sono completamente falsi, ma siccome la persona riveste la qualità di Segretario di Stato, deve avere pazienza, perché questo è la giurisprudenza di questo Tribunale, la critica politica può essere aspra e quindi deve farsene una ragione. Dopo questi decreti di archiviazione, ripeto, possono essere considerati corretti o meno ai sensi della giurisprudenza di Strasburgo, ma questa è la giurisprudenza sammarinese da molti anni che non è stata modificata da ulteriori sentenze del Giudice delle Appellazioni Penali. Tanto è vero che dopo questo decreto di archiviazione del 2014 e 2015, le persone rivestite di pubblici poteri a San Marino non hanno più fatto le denunce perché perdevano solo tempo e soldi, anche magari per l’avvocato che li seguiva per assistere e non ne valeva la pena. Qui si insinua un elemento di ulteriore gravità, perché? Perché a fronte invece di un atteggiamento che è stato molto diverso, si è addirittura riformulata l’imputazione ex articolo 344, che significa? Che una cittadina che osa criticare il conferimento di un premio ad una persona, oggi Segretario di Stato, che in passato è stato certamente oggetto di condanne per atti caratterizzati da violenza, forse non contro le donne, ma certamente per atti caratterizzati da violenza, viene punita con 3 mesi di prigionia. Questa decisione è una decisione che non può trovare oggi dal mio punto di vista una conferma, perché vorrebbe dire che il nostro paese passa dall’essere una democrazia ad una democratura. Ci tengo a sottolinearlo, perché? perché la Corte Europea dei Diritti Umani ha da sempre attribuito grandissima importanza alla tutela dell’Art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, ritenendo che il primo comma dell’Art. 10 fosse da interpretare estensivamente rispetto al secondo comma dello stesso articolo che prevede le limitazioni” (aff. 145-146).
Deve in primo luogo rilevarsi come i precedenti giurisprudenziali citati dalla difesa appaiano inconferenti rispetto alla materia del presente procedimento.
(Da Treccaniit. inconferènte agg. [der. di conferire, nel sign. di «contribuire, concorrere, giovare a qualche cosa», col pref. in–2]. – Nel linguaggio forense, di atto giudiziario che non ha diretto rapporto, che non porta elementi validi per la decisione della causa in corso o, in genere, per la formazione di un giudizio (sinon., quindi, di irrilevante): tenuto conto delle prove già acquisite, il giudice ritiene superflua e i. ogni richiesta di ulteriore indagine sui rapporti tra l’imputato e l’offeso. ndr)
Sia nella sentenza del Giudice d’Appello Brunelli n. 253/2013 (“oggetto di censura – del tutto legittimo – è il loro comportamento politico, non il loro contegno personale, e la circostanza che per chiosarlo il […] abbia scelto parole taglienti, peraltro neppure sorrette da alcun pacato ragionamento, non degrada la critica politica a gratuito attacco personale“) che nel provvedimento di archiviazione Di Bona emesso nell’ambito del proc. n. 52/2013 (“che, pertanto, deve concludersi che il predetto comunicato, pur recando con sé le criticità sopra indicate, costituisca l’esercizio del diritto di critica finalizzata alla censura della dimensione politica (e pertanto non personale) le argomentazioni dei giudici di merito si appuntano sull’estensione del diritto di critica politica, che, potendo esplicarsi anche con toni aspri, irriverenti o sarcastici, e potendo, a determinate condizioni, anche ingenerare nel lettore convinzioni non supportate “da alcuna prova oggettiva”, deve, pur tuttavia, riguardare la dimensione politica dell’operato del soggetto verso il quale la censura viene rivolta e non la sua sfera personale.
Nella vicenda che ci occupa, invece, lo scritto della Casali si risolve proprio in un gratuito attacco personale, in quanto inserisce nella critica all’operato del Ciavatta come segretario di Stato nella gestione della pandemia (“un sds che dopo due mesi di ritardo ha reperito un vaccino non approvato dall’EMA e cha ha coperto buona parte della popolazione perché NOI ce lo siamo fatti somministrare presi dalla disperatone, abbiamo fatto da cavie pur di uscire dalla pandemia, e per chi si è ammalato e morto da gennaio in avanti questa celebrazione, questa esaltazione vergognosa è un insulto. Guardate i danni del long-covid di chi non riesce ad uscirne da gennaio. Che gente incommentabile ci governa“) – critica da ritenersi pienamente legittima, e che, non a caso, esula dal presente capo d’imputazione – un riferimento alla vita personale del Cìavatta (“Sono esterrefatta, un premio ad un uomo che ha subito in processo proprio per violenza contro una donna [non mi ricordo l’esito]), che induce nel lettore, contrariamente al vero, la convinzione o, quantomeno, il dubbio che il Segretario di Stato si sia reso responsabile di condotte violente contro le donne, screditando così la sua dignità di uomo e non solo di politico, oltre che della istituzione da lui rappresentata.
Del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte EDU a precisare, in numerose sentenze, che la pur dilatata estensione del diritto di critica in ambito politico – in particolare quando ha come bersaglio personaggi politici, che per il ruolo ricoperto, si espongono inevitabilmente e volontariamente a un controllo vigile da parte del pubblico e che, per questo motivo, devono dimostrare una maggiore tolleranza nei confronti della critica – incontra comunque il limite dell’attacco personale e gratuito, cosicché anche il politico deve poter beneficiare della protezione della sua reputazione, anche quando non agisce nell’ambito della sua vita privata (precisando che i doveri connessi a tale protezione vanno comunque bilanciati con gli interessi collegati alla libera discussione sui problemi politici).
Anche le argomentazioni spese dalla difesa e dalla Procura Fiscale, per sostenere la carenza dell’elemento soggettivo del reato, cedono il passo di fronte all’evidenza dei fatti. Lo scritto in contestazione, infatti, sia per come è confezionato che per il contesto nel quale si inserisce (la pagina facebook di una testata on-line, accessibile ad una massa potenzialmente indeterminata di utenti), non può certo dirsi frutto di una mera svista di natura colposa: l’imputata, che si è definita quale “aderente” a Repubblica Futura, partito politico che, all’epoca dell’episodio, si collocava all’opposizione rispetto alla maggioranza di governo, nel commentare il post, era chiaramente animata da un intento demolitorio nei confronti della figura del Ciavatta, da lei ritenuto non meritevole del premio menzionato nella notizia, e non ha esitato ad attribuirgli, pur di raggiungere lo scopo, una condotta infamante, senza preoccuparsi di verificarne la correttezza ed accettando, così, quantomeno il rischio dell’evento diffamatorio.
Persino il riferimento alla precedente condanna del Ciavatta per rissa e lesioni che, a dire della difesa, avrebbe ingenerato nella Casali l’equivoco da cui è nato il suo stizzito commento, appare fuorviarle, in quanto gli articoli menzionati (prodotti dall’imputata in sede di interrogatorio – aff. 25-29), forniscono sufficienti dettagli sulla vicenda (peraltro risalente ad oltre venti anni prima), che non lasciano margine ad interpretazioni di sorta e, comunque, in~nessun modo”autorizzano a pensare che il Ciavatta fosse un maltrattatore di donne.
Ricorrono, pertanto, tutti gli elementi, sia di natura oggettiva che soggettiva della fattispecie in contestazione, che, come noto, è punita con la sola pena della prigionia di primo grado. Sotto questo profilo, la questione di legittimità costituzionale sviluppata dalla difesa in sede di discussione in relazione ad una presunta non conformità ai parametri costituzionali della previsione della pena detentiva quale unica sanzione irrogatale per il reato in esame, per quanto possa presentare aspetti di astratta ammissibilità, a determinate condizioni, in una prospettiva sistematica, non appare rilevante nella vicenda in esame, avuto riguardo al complessivo contegno processuale dell’imputata, secondo i criteri indicati dagli artt. 88 e 89 c.p., che impongono di valorizzare, tra l’altro, sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo, il comportamento del reo successivo al fatto. L’imputata, infatti, non ha dimostrato alcun senso di revisione critica della condotta – che, per quanto determinata, secondo la prospettazione difensiva, da un errore giustificabile, ha pur sempre comportato l’ingiusta attribuzione di una condotta infamante alla parte lesa – né ha ritenuto di perseguire iniziative riparative o conciliative nei confronti dell’offeso, ma ha, semmai, rincarato la dose, a mezzo del proprio difensore, con altre insinuazioni prive di riscontro (“alla prevenuta era stato altresì riferito che il querelante in passato avesse avuto problemi di natura penale anche in Italia, sempre per comportamenti connotati da violenza, pur non avendo la querelata la prova di tali fatti”- aff. 39) o con ulteriori attacchi personali tesi a svilire la dignità del querelante come soggetto meritevole di tutela (“Ebbene sì, stiamo parlando proprio del querelante. In appello lo stesso pochi mesi fa è stato assolto, ma non per non aver commesso il fatto, bensì perché il fatto non costituiva reato […] Sulla vicenda alleghiamo alcuni articoli di stampa relativi ai procedimenti penali sopra citati, interessanti anche quanto al “nobile” eloquio cui l’odierno querelante ci ha abituato nelle legislature passate, quando era membro del Consiglio Grande e Generale […] Ebbene sì, è la stessa persona che in questa legislatura, divenuta Segretario di Stato, è turbata dall’educato post della signora Ingrid Casali che osa mettere in dubbio l’opportunità di un premio a lui attribuito per la lotta contro la violenza domestica” – aff. 41-42).
Alla luce di simili considerazioni si stima equo irrogare all’imputata la pena della prigionia, che, tuttavia, tenuto conto degli ulteriori criteri di cui agli artt. 88 e 89 c.p., potrà essere contenuta in una misura prossima ai minimi edittali e sospesa ex artt. 61 e ss. c.p.. Ricorrono i presupposti per la concessione della non menzione.
All’affermazione della responsabilità penale conseguono la condanna dell Imputata al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento delle spese e degli onorari relativi alla costituzione e all’assistenza della parte civile, oltre al risarcimento danno, che dovrà essere accertato definitivamente in sede civile, potendo, tuttavia, riconoscersi sin da ora una provvisionale pari ad € 1.000.
P.Q.M.
Visti gli artt. 161 e seguenti del codice di procedura penale, dichiara Casali Ingrid colpevole del reato a lei ascritto e la condanna alla pena di quattro mesi di prigionia.
Concede all’imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Condanna l’imputata al pagamento delle spese del procedimento.
Condanna l’imputata al risarcimento del danno subito dalla parte civile Ciavatta Roberto, da liquidare in sede civile, assegnando a quest’ultimo una provvisionale di € 1.000,00.
Condanna l’imputata al pagamento delle spese e degli onorari relativi alla costituzione e assistenza della parte civile Ciavatta Roberto, che saranno da liquidare con separato provvedimento a richiesta dalla parte civile.
San Marino, 25 gennaio 2023
Il Commissario. della Legge
– Adriano Saldarelli-”
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